La paura del buio di Antonio De Cristofaro - Letteratura Alternativa

La paura del buio di Antonio De Cristofaro

Quando mio fratello minore doveva andare in bagno di notte, bisognava attraversare le tre stanze del nostro appartamento, poiché esso si trovava proprio in fondo al corridoio. La prima cosa che faceva era quella di svegliarmi con uno strattone, poi, sussurrando e supplicando il mio nome, mi chiedeva di accompagnarlo al gabinetto. Era già abbastanza grande da poterlo fare da solo, l’unica cosa però che glielo impediva era quella stramaledetta e fottuta paura del buio. Sì, aveva paura del buio, non si sarebbe arrischiato a muovere un passo nella stanza avvolta nell’oscurità se non lo tenevo per mano. Il guaio era che se non lo accompagnavo rischiava di fare la pipì nel letto, con tutto quello che ne sarebbe scaturito successivamente; il suo infinito piagnisteo, l’accorrere di nostra madre trafelata e preoccupata, nonché, l’immancabile rimprovero rivolto verso di me, perché avevo mostrato il mio cuore ingrato, non essendomi prodigato velocemente nell’accompagnare l’adorato fratellino al bagno, in tempo utile tanto da non permettergli di urinare inopinatamente nel letto. Era una vera lagna il mio caro fratellino, crescendo, alla paura del buio, si aggiunse il fatto che non ce la faceva a fare un passo di corsa, non gli piaceva giocare a pallone, inoltre, mangiava sempre anche la mia parte di cibo non appena io mi rifiutavo di mangiarla. Infatti, io ero un tipo di poco appetito quando ero piccolo. In aggiunta, era sempre pronto a fare il ruffiano con nostro padre, il quale, siccome lui era più piccolo di me, e in un certo qual modo somigliava nell’indole e nel carattere a mio padre, finiva sempre per accattivarsi le sue simpatie, relegando immancabilmente me al rango del fratello cattivo e crudele, colui il quale rifiutava di prendersi amorevolmente cura del carissimo fratellino. Ma, la cosa che più mi infastidiva era che voleva sempre venire con me, anche quando volevo andare a giocare a pallone con i miei compagni. Lui voleva stare in mia compagnia pur sapendo benissimo che lui non amava giocare al calcio, né gli piaceva correre o camminare veloce, era il classico tipo pacioccone, però, doveva venire con me, solo per il gusto di farmi perdere tempo, rallentare le mie azioni, in modo che arrivassi tardi all’appuntamento con i compagni, che mi aspettavano spazientiti con il pallone tra le mani in attesa che le squadre fossero formate con un numero di giocatori pari, per poter iniziare l’immancabile partita. Con lui dietro tutti i miei movimenti erano rallentati, così la partita si doveva iniziare in ritardo rispetto all’orario stabilito, e inevitabilmente sarebbe finita più tardi del previsto. In tal modo il rientro a casa era ritardato e insufficiente per sbrigare le incombenze domestiche che nostro padre immancabilmente aveva affidato al sottoscritto, in quanto ero il fratello maggiore, quindi, il responsabile della consegna. Allora il rimprovero, per non avere ottemperato ai miei doveri di figlio irriconoscente, calava sicuro e veloce come una mannaia del boia sulla mia povera testolina di ragazzo, con l’unica colpa di volersi divertire a giocare a calcio o a rincorrersi con i suoi compagni di gioco. Per la verità, ricordo anche molto bene che con il crescere dell’età, mio fratello imparò a dominare la paura del buio, naturalmente, io avevo in tutti i modi contribuito a fargliela passare. Gli dimostravo che andando da una stanza all’altra nelle tenebre della nostra abitazione non succedeva proprio niente, ritornavo sempre da lui tale e quale come l’avevo lasciato pochi secondi prima di avere attraversato tutto il nostro disadorno appartamento da un capo all’altro. A questo punto devo confessare una cosa, lui non lo ha mai saputo, ma anche io avevo una paura fottuta del buio, solo che essendo il fratello maggiore e recitando sempre il ruolo del capo in tutti i giochi che intraprendevo con lui, non potevo dimostrare che avevo paura, e allora, vincendo con una grande forza di volontà la mia altrettanta angoscia che mio fratello dimostrava, recitavo il  ruolo di quello coraggioso, del fratello che non aveva paura di niente e di nessuno, pronto a immolarsi fino alle estreme conseguenze per difendere l’adorato fratellino minore! Ecco questa è la maschera che indossavo da ragazzo, ora che sono più che adulto me la posso tranquillamente togliere!

 

Il perdente” e “Lucrezia Borgia -Duchessa di Ferrara” di Antonio De Cristofaro
pubblicati con Letteratura Alternativa Edizioni

 

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