"Good girl" di Silvia Bologna - Letteratura Alternativa

“Good girl” di Silvia Bologna

I passi risuonavano nella strada semi deserta. Non c’era nessuno in giro, nessuno.
Se ne tornava sola. Come sola era sempre stata anche prima.
Che non è che per forza in due si debba sentirsi meno soli.
Carmen, si faceva chiamare.
Non era un vero nome.
Era Carmen. Proprio come “La Carmen”, l’opera. Lei neanche la conosceva così bene, eppure le dava un’aria di quella spensieratezza di chi va all’Opera per bersi le vite degli altri.
Allora voleva chiamarsi Carmen.
Però la sua faccia era umida e gonfia
E bagnata sopra e dentro la mascherina.
Correva goffa oramai. Voleva solo tornare a casa. Si sentiva inadeguata.
In quei vestiti eleganti. Con i piedi che le facevano male.
Pioveva piano.
Si sedette a un angolo della strada. Su un gradino sotto a un balcone.
Tirò su con il naso.
Quante strutture. Quante cose da fare solo perché è così che si fanno.
Quanta rabbia.
Lui era venuto, l’aveva voluta, avuta e se n’era andato.
Ne più né meno di altri.
Altri l’avevano maltrattata, altri ingiustamente presa, altri violentemente ignorata.
Ma lei dov’era? Dov’era. Carmen.
Non si sentiva in nessun luogo.
Si tolse gli stivali coi tacchi. Lì. Pioggia o non pioggia. I collant appoggiati nella pozzanghera mandarono un brivido dritto dentro ai polpacci.
Prese a camminare verso casa. Ad ogni passo i piedi le facevano meno male.
Provava come un sollievo. Un sollievo viscido di acqua gelida. Meno viscido di tante altre cose.
Si fermò a guardare quella strada deserta. Da sotto tutte quelle gocce scappò un sorriso.
Lanciò le scarpe coi tacchi in mezzo alla strada deserta.
Provò un senso di liberazione e di freddo. Rise. Rise per le tante volte nella vita in cui si era imbattuta in una scarpa abbandonata nel mezzo del nulla.
Di chi saranno? Si era sempre chiesta, Carmen, chi le avrà lasciate, come se ne sarà andato via, scalzo?
E ora eccola lì.
Scalza.
Con i collant freddi e zuppi.
A cercare la chiavi di casa sotto la pioggia.
Entrò nel portone, stridente, al solito e l’odore del cavolo del primo
piano la accoglieva con confortante fastidio.
Le scappò un altro sorriso amaro. Prese la scala per il suo interno e salì lenta fino a metà scala poi più veloce.
Arrivò in cima quasi col fiatone, infilò la chiave nella toppa ed entrò.
Si appoggiò alla porta chiudendola. Si lasciò scivolare, sedendosi a terra, poi strappò la mascherina del viso.
Solo un’altra maschera.
Solo una. E questa almeno si strappava via.
La buttò a terra. In pezzi.
Sfilò i collant bagnati senza neppure levare la gonna e li lasciò cadere.
Non doveva più nascondersi. Non voleva.
Sospirò forte. Rimase lì un tempo che sembrava non voler finire.
Con il gatto che le leccava l’alluce del piede destro.
Poi senti bussare piano alla porta.
Qualcuno che non aveva bisogno di maschera.
-Aprimi-
Il cuore le saltò nel petto facendole intirizzire i seni.
Che fuori piove
Ma dentro
Calore di stufa
Odore di foglie e castagne
Vaniglia e pepe di Sichuan.
Accostò l’uscio.

Silvia Bologna – Good girl- autrice di “Storia di una formica
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