Non considerava il suo compromesso come qualcosa di totalmente negativo.
Certo, bastava essere consapevoli del gioco a cui si prestava l’animale sociale, il suo essere così inspiegabilmente desideroso di accettazione. La maschera. Dietro di essa un gran rumore. Bastava ascoltare ciò che aveva da dire da sotto e da dietro il messaggio che comunicava. Ed era manifesto, bastava ascoltare. Il suo rapportarsi agli altri si basava sempre su questo presupposto.
Ezio camminava su per la via che lo portava a seguitare la sua passeggiata mentre d’acchito lo raggiungevano questi pensieri. In quel preciso momento si sentiva così affilato, una lama che tagliava il cielo. Potente. E gli sembrava fosse lì vicino, rovesciato su tutta la terra come se Dio l’avesse apparecchiata per una grande occasione, manco fosse natale. Invece era una giornata qualunque di un anno qualunque e lui era uno qualunque. Uno dei tanti. Tuttavia, da solo non aveva protezioni, non doveva inserire un pilota automatico per l’accettazione sociale. Scansando un roveto d’abbasso, di lato e più in alto, scorse un tipo che veniva giù dal cielo, a passo veloce, quasi scrosciando. Indossava due piume in testa, di gallina, un vestito alla Elvis e una caverna al posto della bocca dentro alla quale giaceva un canto che sentiva ancora lontano ma appena gli fu nei pressi riconobbe in maniera indistinta il pezzo.
“E Pippo Pippo non lo sa che quando passa ride tutta la città”.
“Ciao amico” l’indiano lo salutò. Ezio lo chiamò così in quanto il suo portamento e il suo vestiario gli ricordava un nativo americano. E così lo salutò: ” ciao indiano!”. L’indiano disse nulla, acconsentì al suo nome, compiaciuto. Nell’aria c’era un brusio di vento ed Ezio, stranamente a suo agio, fece sentire la sua voce, canzonando l’indiano:
“perché sei vestito a questo modo e perché cantavi questa vecchia canzone?”
L’indiano sputò gli occhi dalle orbite e strizzò il collo verso l’alto per darsi un tono e una importanza: “perché sono libero e questo è il mio modo di esprimermi, senza filtri.” In aria batteva la campana ed Ezio inghiottì la saliva e disse:” certo che appare il tuo fare un po’ ostentato…” lasciando parola al silenzio. L’indiano sorrise ma non disse nulla facendo parlare l’aria e le campane. Poi smacchiò il sorriso e serio sul volto disegnò una faccia che era una faccia così comune che insieme scoppiarono a ridere. ” vedi a me piace giocare, nulla è serio e come diceva qualche saggio, giocare è forse l’unica cosa seria, è quella che ti permette di allontanarti da te stesso, di perdere il controllo per riprenderlo in maniera più spontanea. La maschera che tutti indossiamo se non ci accorgiamo d’essa ci cinge il volto, soffocandolo, un po’ come l’edera fa con i fusti degli alberi.”
Ezio spalancò gli occhi e il cuore, rimase stupito di tale profondità di pensiero. Lo abbraccio. L’indiano lo accolse come la cosa più naturale del mondo. Da quel giorno Ezio sapeva di poter contare su un nuovo amico. Andarono assieme sul bricco del monte a guardare il tramonto in silenzio, come due esseri primordiali.Edera di Massimiliano Moresco
“Vita d’autista” pubblicato nel 2019 da Letteratura Alternativa Italiana