Sono vicina al mio camino che riesce ogni volta a rendere magico il periodo invernale. Il fuoco ha un fascino particolare, le fiamme sembrano danzare nell’aria e formano delle affusolate figure inanimate. I colori vanno dal giallo al rosso e guarda caso si rispecchiano con i colori propri della stagione, come le vigne, gli aceri e gli alberi in genere che rallegrano così la natura che invece si addormenta.
Come sempre mi emoziono davanti a questi scenari, non riesco a rimanere impassibile ma non posso dire a tutti che rimango incantata, che il camino mi ipnotizza quasi; come faccio a spiegare che per me il movimento delle fiamme è vita? Come posso raccontare ciò che provo, direbbero che sono noiosa e monotona. In effetti certe cose si possono confidare solo ad alcune persone, quelle con cui si ha più confidenza.
Non posso parlare apertamente delle mie emozioni, che è facile lasciarsi andare e rifugiarsi nei ricordi? I cantanti e i poeti lo fanno attraverso i loro scritti e diventano immortali.
Succede che i ricordi appaiono nella mente all’improvviso e sembra di aver vissuto quei momenti solo il giorno prima. E stasera, mentre ero vicina al camino, mi è successo proprio così, ho ricordato quel giorno di tanto tempo fa, quando c’era la pandemia, in cui decisi di fare l’ennesima passeggiata con Joy.
C’era ancora il lockdown e portare il proprio cane fuori per i bisogni era diventato un piacere e non più un obbligo. Quel giorno la portai in un prato vicino casa mia. La giornata era bella, ormai era autunno e le foglie gialle accartocciate avevano già coperto tutto il prato. Da diverse settimane ormai non si vedevano più i bambini sull’altalena.
Mentre passeggiavo con la mia cagnolina inavvertitamente la mia scarpa finì sugli escrementi lasciati da chissà quale cane. Non mi era mai successo prima e la rabbia fu subito padrona di me stessa. Alzai lo sguardo e vidi un ragazzo seduto sulla panchina più in là che mi guardava. Il suo cane era sdraiato accanto a lui al guinzaglio. Mi guardò, capì il mio imbarazzo e mi chiese se avevo bisogno di aiuto.
Allora usavamo le mascherine, entrambi avevamo quelle FFP2, per cui non si capiva il labiale. Non capii quello che mi disse ma vidi i suoi occhi. Mai come in quel periodo la gente capì l’importanza degli sguardi. Mi chiese nuovamente se avevo bisogno di un fazzoletto di carta. Gli risposi di no (tra l’altro l’imbarazzo era tale che non l’avrei mai accettato) e gli dissi che era stato molto gentile. Fu allora che mi accorsi del suo sguardo profondo, direi intimo. Mi sentii confusa e impacciata, anche perché ero in tuta e con i capelli arruffati.
Poi si alzò e venne verso di me. Sempre a debita distanza scambiammo due parole.
Non lo dimenticherò mai quel giorno anche perché quel ragazzo ora è mio marito.
Sono trascorsi vent’anni da allora e tante cose sono cambiate!CARMELA BRUSCELLA “DICONO CHE PORTA BENE”
“CB FILOMENA” pubblicato nel 2020 da Letteratura Alternativa Italiana