“Quell’anno ventiventi” di Mauro Crosetti - Letteratura Alternativa

“Quell’anno ventiventi” di Mauro Crosetti

CO.me V.ivere ID.ealmente 19 (settimane?)

Era da tanto tempo che non piangevo, ma di commozione per fortuna. Me ne resi conto però quando ormai era troppo tardi, quando lui se n’era già andato. Non pensate male, andato nel senso di “partito”. Ma so che tornerà. Ne sono sicuro. Oggi mi sento come un cielo senza nuvole, come una notte coperta di stelle. Lungo la strada che da casa porta al mare, sono cresciuti cespugli di rose selvatiche che ora rosseggiano ai raggi del sole…
Troppo scontato? Troppo melenso?
Uffa, va beh, cose normali direte voi. La solita solfa mielosa. Allora cambio rotta e vi stupirò. Ecco, oggi sarò la pagina bianca di un diario speciale. Un piccolo diario tascabile che lento racconta. Non so ancora bene come inizierà questo viaggio a parole. E non so nemmeno come si concluderà. Anzi, non so nemmeno se sarà lungo o breve. Ma ci provo, ci tento.
Devo solo trasformarmi in matita e lasciare che i segni del tempo si depositino. Sì, proprio così, la mia mente si trasformerà in matita. Lascerò file e file di parole come tante formiche che vanno in svariati luoghi in cerca di cibo.
Cibo per la mente in questo caso.
Ma questa pagina che ho qui davanti ancora bianca mi disorienta, mi destabilizza. Come inizio? Di certo non con il solito “C’era una volta…” ma magari con un “C’è adesso…” Sì, mi piace di più.
Ma pensandoci bene, siamo proprio sicuri che questo “C’è adesso…” ne valga la pena raccontarlo? Non lo so. Diciamo che è un presente che vorrei fosse passato.
«…»
Però potrei iniziare chiuso tra me e me, in ristrettezza verbale e tattile. Però sarebbe come scrivere di me, con me e per me, come in uno specchio… Esatto. “Specchio, specchio delle mie brame, chi è il più annoiato del reame?” mi pare che come inizio possa andare bene, che ne dite? E poi? Poi come continuo? Ah ecco, potrei raccontare di come organizzare in solitudine una bella festa in mascherina e guanti.
Originale direi.
Boh, questo diario mi sa che rimarrà con molte pagine bianche. Forse con qualche punto interrogativo e magari con qualche cancellatura o postilla.
Ma ora cercherò di essere più serio e riflessivo. Forse.
Mi sento un po’ come prigioniero della mia stessa ombra, ma allo stesso tempo anche unica amica che mi segue in questo periodo. Forse sarebbe meglio il “C’era una volta…”, più semplice con meno complicazioni. Ma vediamo di andare avanti. Ecco, appunto, avanti.
Questo fermarsi del mondo e questo aggrapparsi a regole di carta, ossessiona e deconcentra. Intanto s’impolvera la mente ad aspettare il domani, come velo trasparente ricopre il pensare e lo frena, lo cataloga e lo archivia. Ci vorrebbe un sole a precipizio, per rovistare nei meandri del cervello e attivare neuroni assonnati che ora silenziano. Ci vorrebbe un oceano di luce a rischiarare l’oscurità del pensiero che inesorabilmente svanisce nel nulla di questa stanza, luogo che ormai conosco a menadito.
Vorrei smettere di parlare con i muri e intendo non solo quelli in cemento, ma anche quei muri di poca umanità, che si trascinano a dismisura fuori dalla ragione e dallo spazio. Purtroppo, muri con una mente ad angolo ottuso.
Vorrei inseguire quella nuvola che oscura a tratti i raggi del sole che scaldano l’anima, quest’assordante anima che mi perseguita da tempo, senza darmi tregua e senza possibilità d’imbavagliarla. Ma a lei ci penserò domani. Ora cerco di non ascoltarla.
Beh, qualche pagina di questo diario fantasma si sta riempiendo. Intanto svuoto le tasche di parole/formica e le lascio lì, a camminare in libertà. Vediamo dove vanno.
«…»
Mi perdo un poco attraverso i vetri della finestra per un viaggio virtuale verso l’infinito. E pensare che là fuori c’è tutto un mondo che ruota. Che per ora ruota un po’ in senso contrario.
Agli angoli di questo mondo ci spia un qualcosa di misterioso, di irriconoscibile, di indefinito, che limita l’essenza, che ci obbliga a portare maschere. Chissà perché ci spia e non vuole lasciarci in pace. Nessuno lo sa, ma lui intanto aspetta.
Un’attesa paziente, silenziosa.
Ci aspetta per nutrirsi.
Noi siamo cibo.
Ecco perché forse, era meglio un bel “C’era una volta…” più tranquillo, senza bavagli.
Ora le parole/formica sono ferme. E forse conviene lasciarle ferme.
Click.

Mauro Crosetti – “Quell’anno ventiventi”
Pubblicazione: “Il silenzioso dolore dell’anima” – Letteratura Alternativa, 2019

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